martedì, Settembre 17, 2024
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    Bonjour tristesse: lo sguardo di Françoise Sagan tra disincanto e purezza della scrittura

    Immagine tratta dal film: Bonjour Tristesse (1958) diretto da Otto Preminger

    Chi è «l’affascinante piccolo mostro», così battezzata da François Mauriac all’indomani del conferimento del Prix des Critiques per il romanzo Bonjour tristesse?

    Chi è Françoise Sagan, l’autrice di questo romanzo?

    Giovanissima esordiente (il libro esce nel 1954 quando lei ha diciotto anni), Sagan scuote il panorama editoriale francese dividendolo tra chi innalza l’opera come una delle migliori degli ultimi tempi e chi la relega tra gli scritti scabrosi accusando l’autrice di utilizzare la prima persona per raccontare storie lascive.

    Ampio spazio è stato dato all’immagine pubblica (e a quel che si poteva sapere di quella privata) di Françoise Sagan, affascinati, probabilmente, dalla libertà di un’autrice che, nonostante la giovane età, decide fin da subito di non far parte dei dibattiti e delle agitazioni sociali e politiche del suo tempo.

    Come afferma Ève-Alice Roustang, nel saggio dedicato alla scrittrice, «Sagan est un écrivain libre, loin, en tant qu’écrivain, des débats et des agitations de son temps. C’est vrai du terrain idéologique comme du domaine formel» Sagan è una scrittrice libera, lontana dai dibattiti e dai tumulti del suo tempo. Questo vale sia per il campo ideologico che per quello formale,

    e morbosamente attratti dagli slanci sfrenati di cui la sua vita sarà costellata fin dall’esordio letterario, slanci che contribuiranno a dipingere, attorno alla sua figura, una serie di storie “da prima pagina” corroborando la tesi di coloro che la vogliono frivola scrittrice, una volgarizzatrice dell’esistenzialismo francese (accusa che le rivolgerà Jean-Pierre Faye).

    Stendhal, Balzac, Racine, Gide, Eluard e Proust

    E se i festini tra Saint-Tropez e Parigi potevano dimostrare una certa tracotanza di sentimenti non adatti, secondo gli usi e i costumi di una parte di intellettuali francesi di quel periodo, a una giovane affacciatasi così presto al mondo editoriale e letterario, è pur vero che nelle vene di Françoise Sagan scorrono le parole di Stendhal, Balzac, Racine, Gide, Eluard e soprattutto Proust (la sua richiesta, all’editore francese, di cambiare il cognome attingendo a uno dei personaggi dell’opera proustiana, il principe di Sagan).

    Non è facile spostare l’attenzione dalla donna alle parole dei suoi romanzi soprattutto quando si ha a che fare con figure, come Sagan, entrate nella storia e destinate a lasciare un’impronta che segnerà non solo la sua epoca ma anche le epoche di chi ha salutato le sue opere contribuendo a tramandarne il nome e la fama.

    Le parole ci definiscono

    Nonostante tale difficoltà, abbiamo provato a lasciar parlare la scrittura di Françoise Sagan, quel disincanto, quella purezza e quell’originalità che bagnano le pagine di Bonjour tristesse.  Del resto, sono le parole a definirci.

    Cercando di far sorgere la poetica dal romanzo, si noti una citazione spesso ripetuta, seppur in forma differente, nel corso del tempo e durante alcune interviste, da Sagan stessa: «l’illusione dell’arte è far credere che la grande letteratura sia molto vicina alla vita».

    E’ proprio a partire da questa illusione artistica  e creativa che Françoise Sagan scrive, come racconterà, il romanzo d’esordio Bonjour tristesse, con l’impeto adolescenziale e la tenacia dei suoi anni, elementi caratterizzanti parte della sua vita. Voleva finire quel testo, iniziato con foga e portato a termine quasi come fosse una sfida a se stessa, dimostrando a sé e a chi le stava accanto, di essere in grado di terminare un progetto personale, qualcosa che potesse distinguerla dalle ragazze della sua età, sorprendendosi poi degli esiti in termini di accoglienza e pubblicazione da parte della casa editrice.

    Durante la lettura, avanziamo nel calore della Costa Azzurra,

    le ampie camere silenziose della villa sul mare, la terrazza, teatro di svogliate colazioni tra spremute d’arancia e tazze di caffè bollente, la spiaggia sottostante, dove gli elementi del dramma sono ben visibili e delineano un quadro destinato a complicarsi sempre più.

    Si tratta dell’esegesi di un dramma familiare dove l’ambiguità del rapporto padre-figlia (Raymond e Cécile) viene turbato dall’entrata in scena di Anna, quarantenne socialmente affermata, fascinosa e acuta.

    Cécile, emblema della leggerezza adolescenziale con tutte le sue contraddizioni, è la figlia docile, solo all’apparenza, che sfugge alle grinfie degli studi filosofici per inseguire la svogliatezza di giornate assolate tutte uguale e, allo stesso tempo, tutte tremendamente differenti.

    La scoperta della sensualità, Cécile tra le braccia del fidanzato Cyril, in barca, sulla spiaggia, poi di nascosto nella camera di Cyril:

    «Si rideva insieme, abbagliati, pigri, riconoscenti. Avevamo il sole, il mare, le risa, l’amore, si ritroverebbero mai come in quell’estate, con quello splendore, quell’intensità che davano loro la paura e gli altri rimorsi?».

    Perché accanto all’amore («mi sentivo fatta per l’amore, non per l’università»), accanto all’indolenza del sole, accanto all’abbronzatura dorata, della pineta, all’acqua salata, accanto alle serate improvvisate a Cannes, c’è la paura che la coppia, padre-figlia, venga messa in discussione, ammaccando quello che insieme, nel tempo, dopo la morte della madre, hanno costruito, quella leggerezza che passa di padre in figlia e viceversa.

    Cécile non sopporterà l’intrusione di Anna, maturando un sentimento così ostile da trasformarsi, nel giro di poche settimane, in un piano per estromettere definitivamente dalla loro vita quella donna.

    Cécile mette in scena un teatrino degno di un direttore, lei stessa si stupirà in più occasioni di quello che è in grado di fare e di far fare agli altri.

    Servendosi del povero Cyril e della giovane e bella Elsa, la ragazza che fino a non molto tempo prima suo padre frequentava, scatenerà una serie di reazioni che porteranno a uno degli esiti peggiori di questa triste storia: Anna se ne andrà di casa in preda alle lacrime dopo aver scoperto Elsa tra le braccia del padre di Cécile e morirà a pochi chilometri dalla villa per un incidente in auto.

    «Esito ad apporre il nome, il bel nome grave di tristezza, sul sentimento così completo, così egoista che io quasi me ne vergogno mentre la tristezza mi è sempre parsa onorevole. Non conoscevo lei, ma la noia, il rimpianto, e più raramente i rimorsi. Oggi, qualcosa si ripiega su me come una seta snervante e dolce, e mi separa dagli altri».

    «Soltanto quando sono a letto, all’alba, quando in Parigi v’è solo il rumore delle vetture, qualche volta la memoria mi tradisce: l’estate torna con tutti i suoi ricordi. Anna, Anna! Ripeto questo nome molto sommessamente, molto a lungo, nel buio. Allora qualcosa si leva in me che io accolgo col suo nome, a occhi chiusi: buon giorno, tristezza».

    L’incipit e le frasi finali del libro sembrano ricucire una storia spezzata, ammantata dal ricordo di un’estate che, non riuscendo a dimenticare, ritorna, ciclicamente nel tempo, disarmando la protagonista.

    Questi due estratti risolvono la pluralità delle loro significazioni nella poesia in esergo da cui è tratto il titolo di questo libro, A peine défigurée di Paul Eluard. Pagina dopo pagina, le parole scorrono come emanazioni all’interno di un’architettura narrativa costruita durante la stesura stessa.

    Il dato biografico diventa un elemento secondario, puro orpello buono solo a nutrire la morbosità di taluni giornalisti che trasformeranno Sagan in una donna da copertina senza comprendere la profondità della sua scrittura.

    Bonjour tristesse

    In Bonjour tristesse, le parole esplodono tratteggiando, ben presto, un dipinto che resterà nel tempo. Si viene a definire una polifonia di immagini, di sensazioni, di emozioni che si stagliano all’orizzonte definendo un microcosmo fatto di umanità e intimità nel quale la scrittura pone al centro l’individuo. Sarà proprio l’individuo, con le sue incertezze, i dubbi, le domande, le reticenze, i segreti, a interrogarsi sul motivo delle sue azioni.

    Cécile, Raymond, Elsa, Cyril, Anna

    Ed è questa l’immagine che ci restituisce il libro a proposito di Cécile, di Raymond, di Elsa, di Cyril e di Anna. Individui circostanziati nelle loro azioni e nelle loro parole, resi immortali proprio attraverso questa scrittura intertestuale, sapiente, corroborata dalla conoscenza dei classici così come di autori e autrici contemporanee a Sagan. A questo proposito, è calzante, ancora una volta, il commento di Roustang:

    «La letteratura si sviluppa nella letteratura. Gli autori dei secoli passati non sono lontani, ma sempre a portata di mano, disponibili nella cornucopia della memoria di uno scrittore che prima era e rimane lettore».

     

    Sara Durantini

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