mercoledì, Maggio 31, 2023
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    Sexify la serie tv polacca sul piacere in onda su Netflix

    Sexify è una serie tv polacca, alla prima stagione, che potete trovare su Netflix.

     

    Monika, Natalia, Paulina

    Protagoniste tre ragazze che si ritrovano a vivere e frequentare lo studentato dell’Università.

    Tre ragazze che provengono da tessuti sociali completamente diversi, e anche con esperienze sessuali e amorose completamente diverse.

    Monika, figlia di un imprenditore e di una istruttrice mindfulness, quasi al limite di una patologia ninfomane.

    Natalia, prodigio dell’informatica, figlia di una famiglia matriarcale, ostile agli uomini e con nessuna esperienza del proprio corpo e di quello degli altri.

    Paulina, cattolica e tradizionalista, promessa sposa di un militare.

    La migliore App

    Un concorso per decretare la migliore App sviluppata all’interno di un corso universitario, porterà le tre ragazze a collaborare fra di loro, e inizierà la narrazione di un racconto di formazione al femminile su amicizia e emancipazione.

    L’applicazione, presentata poi al concorso nazionale, stupirà e sbigottirà insegnanti e colleghi per la sua finalità : l’ottimizzazione dell’orgasmo femminile attraverso la mappatura delle zone erogene.

    Sexifi ricalca un po’ la serie tv americana di maggior successo Sex Education.

    Sicuramente si rifà a lei per cercare di sollevare la tematica sessuale all’interno della società polacca. Ci riesce a sufficienza, anche con un’intenzione ben precisa: quella di mostrare ancora difficoltà nel poter dire o agire liberamente in un clima fortemente cattolico.

    Ne è un esempio la scelta di voler chiamare la stanza adibita alla raccolta dati, copulatorio: concentrando così, ancora una volta, lo studio sulla coppia, sul piacere della coppia.

    L’idea iniziale del “masturbatorio” viene eliminata quasi subito dalle ragazze per vergogna, per il poco ascolto del proprio desiderio, per l’imbarazzo di dover utilizzare vibratori realizzati con stampanti 3D.

    Una sorta di velo pudico che cala sul corpo della donna per lasciare spazio alla coppia, al sesso da tradizione. Una sorta di denuncia sottile, voluta, lasciata tra le mani delle protagoniste, come copione.

    Una sessualità, e una scoperta di altre sessualità, che arriva in età adulta.

    Sono studentesse universitarie, non matricole, e tranne Monika, si rilevano impacciate, goffe, ingabbiate in famiglie terrorizzate o tradizionali, assoggettate alle opinioni altrui, spaventate dalla mancanza di sensazioni, o dall’uragano che invece le travolgerà.

    Ragazze coraggiose

    Così lontane dalle loro quasi coetanee americane di Sex Education, eppure così coraggiose.

    Il progetto Stop Abortion polacco

    E questa sensazione di coraggio, di sfida aperta, l’avevamo percepita in maniera netta quando poco dopo la visione erano tornate agli occhi le immagini delle proteste contro il progetto “Stop Abortion” del governo polacco, ossia il divieto di abortire anche in caso di gravi effetti congeniti, sostenuto dalla Chiesa e da fondamentalisti religiosi.  Progetto che è diventato norma il 27 Gennaio scorso.

    Allora ci siamo chiesti chi e cosa è il femminismo polacco, e abbiamo scoperto una storia di più di un secolo, una storia che segue di pari passo l’indipendenza nazionale, a partire dalle Entusiaste del 1840, passando attraverso il primo movimento politico riconosciuto, nel 1907, la Società polacca per i pari diritti delle donne con obiettivo il suffragio universale, arrivato nel 1918, ben ventott’anni prima dell’Italia.

    L’ideale femminile tra le due guerre mondiali

    Tra le due guerre l’ideale femminile ricalcava ancora l’angelo del focolare, e con l’avvento del regime comunista iniziò una propaganda di finta promozione dell’indipendenza, che si realizzava solo in poche realtà locali con la Lega delle donne.

    Questa “finzione” scaturiva dal fatto che il socialismo dava per scontata l’uguaglianza di genere, investendo in questo modo nulla su determinate campagne, e allo stesso tempo manteneva le donne lontane dal femminismo occidentale, considerato capriccio di femmine benestanti e, soprattutto, americane.

    Dopo il 1989

    Dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1989, la situazione delle donne polacche diventò difficile in termini di occupazione, molte aziende statali collassarono, e servizi essenziali come gli asili nido chiusero.

    In questo clima di caos avanzò la potenza clericale.

    La Chiesa divenne il perno fondamentale della società polacca tanto da diventare tramite, nel 2003, per l’ingresso dello stato in Europa: il cosiddetto compromesso terminato solo dieci anni dopo con l’avvento di un partito di destra, Diritto e Giustizia.

    La donna polacca ”vergine immacolata”

    In tutti questi anni le donne polacche si sono dovute confrontare con il concetto di madre polacca o di supermadre: una vergine immacolata, l’infermiera temeraria, la moglie obbediente, l’instancabile lavoratrice, escludendo ogni tipo di dibattito su sessualità non riproduttiva e omosessualità.

    La donna furiosa

    Esperienze artistiche e di collettivi stanno però introducendo una nuova figura nell’immaginario comune: la donna furiosa, arrabbiata. Una donna che fa politica, che porta il messaggio femminista all’interno di un dibattito politico. Una donna che suscita indignazione, che non viene più ignorata.

    Ne è un esempio il Bananagate del 2019, hashtag lanciato per denunciare il direttore del National Museum di Varsavia per aver fatto rimuovere opere di tre artiste femministe accusate di turbare la sensibilità dei visitatori: Natalia LL, che nel suo video del 1973 Consumer Art, mangia nuda una banana, giocando sull’ambiguità dell’oggetto e sulla sua natura di bene di lusso in regime sovietico,

    Katarzyna Kozyra, con la sua opera “Appearance of Lou Salome”, 2015, dove l’artista è ripresa mentre tiene a bada i corteggiamenti di due cani, Nietzsche e Rilke, e Aleksandra Kubiak/ Karolina Wiktor, che nel loro Part XL. Tele Game, 2005, replicavano movimenti suggeriti da telefonate anonime, raggiungendo facilmente livelli di violenza e sessualità.

    Agata Zbylut e il suo “Caviar Patriot”

    La donna arrabbiata parla di alleanza a livello globale del nazionalismo come Agata Zbylut e il suo “Caviar Patriot” del 2017, un abito costruito con le sciarpe della squadra di calcio nazionale, Polska, simbolo nazionale e di patriottismo, come suggerito anche dal governo in carica; il tifoso come nuovo eroe patriottico.

    Parla di ecologia e animalismo con una delle installazioni di Liliana Piskorska, “Bitches: self portrait with a lover”, 2013, dove l’artista e la sua compagna risultano completamente ricoperte di pelli e pellicce di animali destinati al consumo, non solo alimentare: volpe, coniglio, cincillà, cervo, pecora, mucca, di crisi migratoria e fondamentalismo religioso nei meme di Marta Frej dove un prete con un gilet giallo di frontiera intima: “Sia lodato, favorisca il certificato di battessimo.”

    Un mix di rivoluzione, natura, Eve primordiali. Da seguire.

     

    Francesca Piovesan

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