Tutto ha inizio con un’immagine dalla quale non riesco a prendere le distanze. La ritrovo, ammantata di mistero. È l’immagine di una donna avvolta dalla passione di un amore «perso nella storia» e ritrovato all’ombra dei ricordi.
La donna potrebbe avere la mia età oppure no, potrebbe essere giovane di quelle giovinezze che sfioriscono in fretta e ciò che resta è un guizzo nostalgico negli occhi. Mi nutro della sua bellezza intermittente, sfumata dagli anni. Mi nutro dei suoi gesti sapienti sotto la doccia, poi con il rimmel in mano, mentre improvvisa, davanti allo specchio, un’acconciatura per apparire affascinante. Donna senza tempo. Immortale nel momento in cui la passione farà vibrare il suo corpo.
È questa l’immagine che mi porto appresso da quando ho letto Passione semplice di Annie Ernaux. Ed è questa l’immagine che non posso dimenticare perché troppe volte, anch’io, «ho misurato il tempo con il mio corpo” scoprendo «di cosa si può essere capaci».
«Sin dal mese di settembre dello scorso anno, non ho fatto nient’altro che aspettare un uomo: che mi telefonasse e che venisse da me». L’io è contaminato dall’attesa dell’uomo. Non un uomo a caso. Lui ha un nome, ha una famiglia, ha una casa che, di ritorno da ogni viaggio di lavoro, lo accoglie e lo definisce.
Lui ha un ruolo nella società esattamente come lei. Esseri determinati agli occhi degli altri. Eppure, tutto ciò svanisce quando avviene l’incontro tra i loro corpi. Lui è reale e fantastico al tempo stesso. Quando non c’è diventa un’ossessione, qualcuno da attendere eternamente e che avrebbe dato significato alla sua stessa esistenza. «Vivevo nella crescente ossessione che qualcosa sopravvenisse a impedire il nostro appuntamento».
La passione è rapimento, carnalità, inconsapevolezza, frammentarietà. La passione si consuma nello spazio di un amplesso, sprofonda nelle sabbie mobili dell’immaginazione (quando ci rivedremo, come sarà il nostro prossimo incontro, come giungere al massimo godimento?) per poi riaccendersi grazie a una telefonata, una lettera, poche parole. Quanto basta, a lei, per attestare l’esistenza dell’uomo.
Passione semplice diventa un film della regista libanese Danielle Arbid intitolato L’amante russo con Laetitia Dosch e Sergei Polunin. Già selezionato da Cannes 2020, il film di Arbid è stato presentato in anteprima mondiale al festival di San Sebastián, successivamente, il dieci giugno scorso, al Cinema Nuovo Sacher a Roma in occasione di Rendez-Vous Festival del Cinema Francese.
Sarà Danielle Arbid a portare in scena quell’immagine di una donna perduta nella sua ossessione. «Ero entrata in uno stato in cui nemmeno la realtà della sua voce poteva rendermi felice. Tutto era mancanza senza fine, tranne il momento in cui stavamo insieme a fare sesso. Eppure, ero ossessionata dal momento che sarebbe seguito, quando se ne sarebbe andato. Vivevo il piacere come un dolore futuro».
L’ossessione diventa il metro di misura per dare valore al quotidiano. Non solo. L’ossessione sarà anche la fonte dalla quale abbeverarsi per dare nuovo impulso a un amore senza dimensione.
Sara Durantini