«Le feminisme c’est une necessite, de l’ordre de l’action, de l’ordre du politique. Je le manifeste en ecrivant, et non pas en pensant que je suis une femme mais en allant le plus loin possible dans la realite humaine».
La voce è di Annie Ernaux in una lunga intervista realizzata da Pierre-Louis Fort.
Il femminismo, per sua stessa ammissione, diventa una necessità, si manifesta attraverso la scrittura ed è lo strumento per sondare in profondità la realtà umana. In questo processo di ricerca e comprensione della realtà umana quella femminile viene alla luce come bisogno di raccontare il corpo, la lingua, il distacco dalla famiglia, la presa di coscienza della solitudine davanti all’aborto, un processo, quindi, di crescita ed emancipazione che racconta la donna in un determinato momento storico (lo vediamo ne Gli armadi vuoti, Rizzoli, 1996). Ernaux, nell’intervista citata pocanzi, soppesa le parole, circoscrive il perimetro semantico della «ecriture des femmes».
Una ecriture che ritroviamo nell’ultimo libro tradotto da Lorenzo Flabbi per L’Orma Editore, La donna gelata. In questa discesa nel secondo sesso, Annie Ernaux descrive il percorso di una donna che, a ritroso, si accorge di lasciare «sempre meno di quel che crede».
Come sono diventata donna?
Il romanzo di Ernaux sembra porre questa domanda, un interrogativo che rivolge non solo a se stessa ma anche a chi legge. In filigrana ritroviamo le parole della scrittrice che più di ogni altra l’ha travolta, Simone De Beauvoir («On ne naît pas femme: on le devient»), a tal punto da ammettere di avere un debito esistenziale nei suoi confronti, in quanto grazie a lei ha sviluppato e riconosciuto il desiderio di libertà nella vita e nella scrittura tanto da spingerla a «scrivere quello che ho voglia di scrivere».
Lo sguardo di Ernaux parte dalla differenza che caratterizza la condizione femminile rispetto a quella maschile. Difficile distinguere fin dove arriva il condizionamento sociale rispetto a quello religioso.
Dove inizia e dove finisce la libertà femminile rispetto a quella maschile? Quali canoni osservare per preservare la propria persona da maldicenze e calunnie?
La donna gelata, edito da Gallimard nel 1981, è un romanzo cadenzato dalle istantanee di una vita tra i luoghi della memoria, fotogrammi già conosciuti in altri libri di Ernaux: le scenografie di Yvetot che si stagliano nella mente per “ricadere su di lei” quando torna in quel paese con la sola compagnia dei ricordi stratificati sul suo corpo (Retour à Yvetot, Maucondiut 2013); Rouen, luogo delle speranze dell’allora allieva insegnante Annie Duchesne trasformatosi ben presto nel luogo dell’attesa del ciclo mestruale (L’événement, Gallimard, 2000; L’Orma Editore, 2019).
Immagini di Ernaux in Italia, a Villa Borghese, in Francia, a Bordeaux. E poi ancora, Annecy, il luogo che odia, «è lì che sono stata risucchiata… sprofondata in questo ristretto universo femminile, sopraffatta da incombenze minuscole. Dalla solitudine. Sono diventata la custode del focolare».
È questa la pienezza?
Si chiederà Ernaux guardando la pila di piatti da lavare e la sua immagine riflessa allo specchio. Le donne della sua vita non sono custodi del focolare. Donne sguaiate, parlano a voce alta in dialetto, ridono senza contegno, non trascorrono la giornata tra fornelli immacolati sfornando crostate e madeleine.
Nell’economia domestica della sua infanzia e adolescenza i ruoli maschio-femmina sembrano essere invertiti e restare tali per molti anni. Complice il lavoro dei genitori e il temperamento della madre, la cui voce bianca risuona in lei e l’avvolge. «Come avrei potuto, vivendo accanto a lei, non essere persuasa della magnificenza della condizione femminile, o persino della superiorità delle donne sugli uomini?».
Nonostante questo modello femminile, che ben si discosta da quello che la provincia francese degli anni Quaranta imponeva, Ernaux sembra non salvarsi dal potere degli uomini.
Siamo con lei mentre cerca un equilibrio tra il bisogno di essere accettata e desiderata e la volontà di far sentire la propria voce. Siamo con lei mentre il suo corpo cambia e la prima traccia del suo stesso sangue mette fine a un’epoca. Siamo con lei mentre prende consapevolezza, a diciassette anni, di vivere il periodo di massima libertà sessuale pur non potendone godere appieno ma, al contrario, dovendo proteggere il proprio corpo dai maschi e abbracciando, pur non totalmente in accordo, i precetti ecclesiastici inculcati dall’educazione religiosa secondo i quali la massima aspirazione per una ragazza è la conservazione della purezza, svuotando il corpo del desiderio e riducendolo a un involucro asessuato.
Narrazione della materia femminista dagli anni Quaranta fino agli anni Settanta
Il libro insiste sulla questione del ruolo ancillare della donna, funzionale alla cura degli altri e, solo in seconda battuta, alla propria persona. In questo modo la donna si cristallizza in una forma e in una dimensione che non le appartengono mai del tutto, continuamente plasmate dal volere altrui. In questa narrazione, l’osservazione caleidoscopica di Annie Ernaux è proiettata verso la ricerca della verità.
Solo propendendo verso la verità (fine ambizioso da raggiungere attraverso la scrittura) ogni suo libro diventa un metatesto dove l’io ernauxiano diventa noi. Percorriamo, insieme a Ernaux, la strada che porta al lavoro di scavo «au-dessous de la litterature» vale a dire andando oltre la parola letteraria, per sondare altre significazioni e altri significati e salvare, così, dall’oblio la bellezza fugace dei ricordi, delle immagini e delle annotazioni. In una parola sola, salvare la bellezza fugace della Storia.
Sara Durantini