giovedì, Novembre 21, 2024
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    Lo spirito di gatta di mia madre. Valentina Della Seta

    Foto di Gigliola Chistè

    Ho capito molto presto di non essere il tipo di figlia che mia madre avrebbe desiderato. Lei è nata nel 1941 e ha sposato il suo primo marito nel 1960, a diciannove anni. Per andarsene di casa, e perché le aveva promesso una decappottabile a due posti.

    Il primo marito l’ha portata a vivere in un attico su una collina di Roma nord, in un comprensorio con piscina che aveva costruito lui. C’era l’ascensore che entrava direttamente in casa, una terrazza panoramica con le piante, una stanza guardaroba piena di vestiti. Insieme hanno avuto due figli, due maschi. Solidi, biondi, pieni di appetito, le piacevano.

    Ma l’irrequietezza l’ha fatta scappare: a casa di mio padre, a Trastevere, dove gli anni Settanta esistevano in forma di hashish e piccole ammucchiate. Mia madre è andata con un’amica a una delle sue feste, è rimasta a dormire, ha scoperto che fumare rendeva tutto più facile da sopportare.

    Quando si è resa conto di aspettare me ha pensato di andare in Inghilterra per abortire (in Italia non era ancora possibile). Aveva già comprato il biglietto dell’aereo quando mio padre l’ha convinta a lasciare perdere, regalandole una borsa da Hermès in via Condotti.

    Quando sono nata ha pensato che se non altro ero carina. Mi curava molto, cambiava ogni giorno le lenzuola di lino della mia culla. Ero sempre profumata. La mattina mi svegliava sussurrandomi canzoncine inventate all’orecchio, mi accarezzava la schiena, mi faceva innamorare e un giorno mi avrebbe spezzato il cuore. Non era cattiveria. Era per via dello spirito di gatta, dolorante, opportunista e sempre in fuga, che a un certo punto inevitabilmente si impossessava di lei.

    Quando ho iniziato a crescere si è resa conto di non avere avuto fortuna con me. Avrebbe voluto una figlia sofisticata, le era capitata una bambina che indossava tute da ginnastica e aveva la fissa degli animali randagi. Se trovavo un topo o un uccello mezzo morto per strada lo raccoglievo e lo portavo a casa.

    Mi piaceva stare da sola a leggere fumetti per ore. Mia madre mi lavava i capelli lunghi, me li pettinava dopo averli cosparsi di balsamo, mi portava fuori per farli asciugare al sole. Al parco mi rotolavo sull’erba, in piazza mi impolveravo correndo sui sampietrini, sceglievo il cioccolato come gusto di gelato e me lo facevo colare sulla camicetta di garza azzurrina che mi aveva convinto a indossare. Allora mi guardava con disprezzo, con delusione profonda, mi diceva: «Sei tonta», con aria rassegnata. Il buon umore le tornava solo dopo il primo Campari, dopo la prima canna. Era triste fino all’ora dell’aperitivo.

    Mia madre ha inseguito per tutta la vita il miraggio di un marito ricco e una vita comoda. Ma quando li lasciava, i mariti e gli amanti diventavano vendicativi. Erano uomini di una volta, e anche gli avvocati e i giudici erano uomini di una volta, nessuno le avrebbe dato ragione. Nel corso degli anni è diventata sempre più povera.

    A un certo punto deve aver sperato di poter investire qualcosa in una figlia carina. Alle elementari ha provato a iscrivermi a una scuola privata, in centro. C’era un grande giardino con alberi secolari, era quasi un bosco. Ma un’amica mi ha detto che dietro gli alberi c’erano le streghe, io non ci sono più voluta tornare. Il pomeriggio mia madre mi mandava a giocare da quella stessa amica, era la figlia di un notaio: «Se uno non è ricco non ci esco», mi ha detto un giorno l’amichetta, quando avevamo non più di sette o otto anni. Mi sono sentita a disagio. Quello che sei nel profondo lo sai da sempre, almeno per me è stato così. Io sapevo che il mio posto non sarebbe mai stato tra i ricchi.

    Quando mia madre è morta sono diventata un po’ più simile a lei. Sono andata a svuotare casa sua. Era una casa piccola, in provincia. C’erano le borse di Hermès e Chanel ma erano imitazioni. Ho aperto i suoi cassetti, erano ordinati, ho trovato i cardigan di lana pregiata conservati nelle bustine singole di plastica trasparente. Li ho regalati alle amiche, ma da quel giorno è diventato importante anche per me tenere in ordine i cassetti.

     

    Valentina Della Seta*

     

     

    * Valentina Della Seta vive a Roma – dove è nata nel 1974 – e scrive di letteratura, cinema e costume per il venerdì di RepubblicaIcon Rivista Studio. Le Ore Piene, edito da Marsilio, è il suo primo romanzo.

     

     

     

     

     

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