giovedì, Novembre 21, 2024
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    Louise Michel: è che il potere è maledetto e per questo io sono anarchica

    “Louise Michel mi respira a fianco per la sua generosa irruenza in grado di sbaragliare non solo le radici del potere, ma anche le dinamiche culturali dei suoi compagni di viaggio, spesso affetti dalle stesse carie di cui accusavano il potere.

    Il potere contamina nelle sue modalità relazionali, semplificative, autoritarie, definitive, patriarcali. Questa maestra in/segna, in ogni sua drammatica tensione, energia propositiva, umanitaria e capacità decisionale. La necessità del fare dentro l’umanità, in apertura seminale”.

     

    Abbiamo scelto le parole introduttive della poeta Anna Maria Farabbi, traduttrice e curatrice di quest’antologia dedicata alle opere di Louise Michel, per trasmettere un’immediata e intensa impressione di questo dialogo urlato, benché silente, attraverso il tempo e le barriere linguistiche, tra due donne che, ciascuna a suo modo e nella sua epoca storico-geografica, non si sottraggono alla responsabilità etica dell’esistere e del coesistere nella propria società.

    Alla loro opera spregiudicata e prorompente, si aggiunge il lavoro di pubblicazione di Raffaella Polverini, editrice di Al3vie, marchio di Kaba Edizioni, che ama definirsi “editora” proprio per sottolineare il fatto, ancora desueto, che sia una donna a dirigere una casa editrice e che possa scegliere di pubblicare titoli tanto “controcorrente” quanto potenti e importanti come “Louise Michel – è che il potere è maledetto e per questo io sono anarchica”.

    Louise Michel e un’ esistenza straordinaria

    Louise Michel ha vissuto una vita straordinaria, certamente impressionante se esaminata dal punto di vista della nostra comoda società del benessere in cui si arriva al paradosso del rifiuto del diritto da altri conquistato con la vita, ma ciò che più stupisce è la vastità e la drammaticità accesa e volitiva delle esperienze di questa donna intimamente rivoluzionaria che, certamente, è uno dei personaggi più interessanti dell’Ottocento occidentale e, proprio per questo, inspiegabilmente, sfugge (o viene tenuta lontana) da didattica e saggistica, non fosse per quei pochi casi in cui si predilige la purezza del messaggio ad altre più convenienti dinamiche.

    Istitutrice convintissima dell’importanza di un’educazione che non discrimini i generi e che sia laica e liberale, decide di combattere per le cause libertarie della Comune di Parigi contro il potere politico e sociale borghese. Affronta militanze attive, processi, deportazioni, incarceramenti, campi di concentramento. Affronta gli interrogatori processuali decidendo di non difendersi e di non sottrarsi alle sue responsabilità di rivoluzionaria:

    “Il popolo muore di fame e non ha neanche il diritto di dire che sta morendo di fame. Ebbene, io ho preso la bandiera nera e mi sono messa a dire che la gente era senza lavoro e senza pane. Ecco il mio crimine. Giudicatelo come vi pare. Voi dite che vogliamo fare la rivoluzione. Ma sono le cose che fanno le rivoluzioni”.

    La scienza e l’amore per l’umanità, la logica e la coscienza

    Il suo sguardo analitico e vividamente critico ha promosso attivamente l’importanza dell’educazione anche in mezzo alle sciagure della guerra. I due poli irrinunciabili della ricerca umana sono “la scienza e l’amore per l’umanità”, la logica e la coscienza, attraverso cui poter equilibrare non solo i ruoli dei due sessi ma, anche, educare e valorizzare ogni tipo di personalità come l’”idiota”, il selvaggio o il criminale:

    “L’uguaglianza, l’armonia universale per gli uomini, come per tutto ciò che esiste”. La libertà, per Louise, è irrinunciabile ontologia, unica eco-sostenibilità dell’esistenza, fonte del sapere e materia viva di ogni plausibile didattica: “Nessuno ha il diritto di sottomettere gli altri. Colui che prende la sua libertà non fa che riprendersi ciò che gli appartiene: il solo vero bene”.

     

    Louise scrive epistole (a Victor Hugo, alla madre, all’unico uomo che forse ha amato e che fu fucilato), prose, poesie, articoli, memoir e cronache di guerra incastonando i suoi dati biografici a fatti e riferimenti storici densi di pathos, immagini crude e realistica spietatezza in cui l’amore romantico affiora incidentalmente come un bocciolo nell’asfalto.

    Stupefacente, invece, per l’epoca, è il modo in cui deride due vecchi uomini che avrebbero voluto prenderla in sposa da giovanissima: “Ricordo due esseri ridicoli che si succedettero come oche o spettri (ne avevano dell’uno e dell’altra). Mi avevano, uno dopo l’altro, chiesta in sposa ai miei nonni nell’età dai dodici ai tredici anni. Mi allontanarono, invece, dall’idea del matrimonio, se non l’avessi cancellata già dalla mia mente”.

    I diritti delle donne

    Le donne, i loro diritti, la condizione della loro vita sono il suo costante pensiero, la spinta più galvanizzante, la costante responsabilizzazione alla rivoluzione che l’ha mantenuta viva e in vita nel cuore rancido della ferocia umana:

    “Per le povere madri ci sono ben altre torture, moltiplicate dal matrimonio e dai legami di famiglia. Sì! Bisogna allora essere nient’altro che combattenti!”

    E ancora ci dice: “Non comprenderò mai che ci sia un sesso che cerca di atrofizzare l’intelligenza dell’altro, come se ne avessimo abbastanza nella razza”.

    La prorompenza delle sue parole si affianca all’osservazione acuta della società, di quella civilizzata francese del 1800 e di quella indigena (conosciuta e affiancata durante le deportazioni), illuminando tematiche di cui, nonostante la modernità sia temporalmente evoluta in contemporaneità, si continua a parlare anche oggi:

    “Lo schiavo è il proletario. Il più schiavo di tutti è la donna del proletario. E il salario delle donne?”.

    In una lirica tra le più abrasive, leggiamo:

    “Bravi borghesi che Cesare vi serbi.

    Cesare dalle grandi o piccole braccia,

    Papa che sia o Repubblica bastarda.

    Le campane a martello suonino a morto per voi

    re dell’oro odiosi e feroci.

    Le fidanzate che voi uccidete

    domani avranno nozze rosse,

    campane suonate, campane suonate”.

     

    Proprio perché la sensibilità più genuina e rampante non conosce catalogazioni, partitismi e specismi, Louise non dimentica gli esseri che non hanno parola per difendersi ma gridano il dolore da sanguigne pupille:

    Lo sfruttamento animale

    “ Nel fondo della mia rivolta contro i più forti, il più remoto orrore che ricordo è per le torture inflitte alle bestie” è l’inizio di una riflessione tragica sullo sfruttamento animale, sulla vivisezione e sulla sperimentazione che non ignora la consapevolezza che “ il cuore della bestia è come quello umano, il suo cervello è come quello umano, suscettibile di sentire e di comprendere. Malgrado si calpestino i diritti e la vita degli animali, calore e scintilla si risvegliano sempre”. E anche l’uomo si può risvegliare attraverso quel dolore, nella repressione delle sue bieche pulsioni.

    Al termine del doloroso e illuminante attraversamento della parola e della vita di una donna che, a tutti i costi, voleva sovvertire l’abominio di un potere inumano, recandoci oltre la comprensione storica e politica del suo viscerale anarchismo e passando il dito della coscienza su uno dei molti squarci d’esperienza cicatrizzati sul costato del moderno Occidente, ci rimane l’eco plastica e roboante di Louise che dice

    “Io, donna, ho il diritto di parlare delle donne”,

    affinché la prostituzione alla comodità sociale e lo sconfinamento della solidarietà umana nell’ulteriore lotta tra persone non realizzate, non siano più il fastidioso ronzio dell’abitudine che copre il rumore del sacrificio di chi si è immolato per la libertà e per la parità. O si combatte (con l’educazione e l’esercizio al rispetto) o non si esiste.

     

    Gisella Blanco

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