Mi aveva detto: “Fica la tua maglietta degli Stooges”.
Lei aveva una maglietta dei Nirvana e lunghi capelli neri.
Le avevo risposto: “Gli Stooges arrivano dopo il dolore”.
Mi era parso capisse subito. Le passavo un dito sui tatuaggi dopo aver fatto l’amore. Soldi non ne avevamo. Vivere alla giornata, per noi, sarebbe stato un programma già troppo soffocante. Ciondolavamo in strada e avremmo cominciato a chiedere l’elemosina, prima o poi. Ma lei se ne venne fuori con questa idea dei mimi.
“Però mica ci travestiamo, mica voglio diventare un pagliaccio”, mi spiegò.
L’idea era quella di fare le statue viventi. Ci provammo. Ci mettemmo fermi su un marciapiede dopo aver scelto una posizione specifica. Ogniqualvolta ci avessero buttato una moneta nel cappello avremmo cambiato impercettibilmente la nostra posizione, all’unisono. Ma non ci filava proprio nessuno.
“Non funziona con i nostri vestiti, la gente non si accorge della differenza”.
“Non vorrai mica truccarti da Pierrot o da Statua della Libertà?”
Ci pensai su a lungo, poi mi venne l’illuminazione: “Bisogna assumere delle pose pornografiche”.
“Che intendi?”
“Hai capito benissimo, saremo due porno mini”.
Scoppiò a ridere: “Che cazzo”.
“Porteremo il nostro messaggio al mondo”.
“Ah, bella questa. Abbiamo anche un messaggio?”
“Sissignore”.
“E quale sarebbe?”.
“Che bisogna smettere di ricercare la felicità, è sempre molto più bello ciò che abbiamo per davvero, adesso, nel presente”.
“E cosa abbiamo per davvero, adesso, nel presente?”
“La disperazione”.
Quella sera ci mettemmo all’opera, sempre sullo stesso marciapiede. Lei si piegò a novanta dietro di me e io, poco distante, tesi le braccia verso il suo culo. Fu incredibile. In un battibaleno fummo circondati, si formò un capannello di curiosi. Smaniavano per vedere come sarebbe andata avanti la scena, suppongo che avrebbero pagato qualunque cifra, e non solo la manciata di monetine che lasciavano cadere nel cappello. Arrivammo a formare un incastro molto gradevole. Io stavo poggiato sul culo di lei e le strizzavano ambedue i capezzoli da sopra la maglietta. Alla gente quei movimenti parcellizzati- quell’alternanza tra paralisi e scatto, morte e vita, eros e thanatos- sembravano non bastare mai. A un certo punto dovetti rovesciarmi il contenuto del cappello nelle tasche perché le monete traboccavano. Poi io e lei ci demmo un bacio lungo quasi un’ora mentre la sera diventava notte, ma la gente non ne voleva sapere di andarsene. Almeno una dozzina erano lì dall’inizio della performance, per così dire. Si erano fermati e non avevano più proseguito. Avevano disdetto appuntamenti, mandato all’aria incontri, fatto saltare cene. Restavano con gli occhi fissi su di noi, come se fossimo davvero chissà cosa, divinità arcaiche uscite dall’oscurità cosmica. Quando decidemmo di staccare perché non ce la facevamo più – le nostre membra erano indolenzite e formicolanti – partì un applauso spontaneo, istintivo, animalesco. Poi tutta quella gente si disperse rapidamente come una marmaglia di delinquenti.
In strada non restammo che noi, come al solito, oltre a qualche passante distratto che, vista l’ora, affrettava il passo per tornarsene a casa.
“Due cappelli pieni di soldi”, esultai.
Lei mi guardò scrollando la testa: “Questa cosa ha avuto successo, quindi non mi piace più”.
Luca Ricci *
* Luca Ricci è nato a Pisa e vive tra Roma e Venezia. È considerato uno dei migliori scrittori italiani di racconti. Tra i suoi libri ricordiamo L’amore e altre forme d’odio, Trascurate Milano e il ciclo delle stagioni, Gli autunnali, Gli estivi, Gli invernali (tutti editi per La nave di Teseo). Scrive racconti per il quotidiano Domani.
E. Hopper e R. Carver: l’umanità su un binario morto. Luca Ricci